Un dato veramente sconfortante è quello che ci giunge dall’OVERSHOOTDAY 2018 (1° Agosto), giorno dell’anno in cui abbiamo consumato l’intero budget annuale di risorse naturali disponibili, calcolato sull’esigenza dell’umanità in termini di emissioni aeree, terreni coltivati, fauna ittica disponibile, sfruttamento forestale in relazione alla capacità del pianeta di rigenerarsi.
Se si considera che l’Overshootday nel 1970 era il 23 Dicembre e nel 1960 il 31 nasce spontanea la necessità di invertire urgentemente il trand per preservare e SALVARE il pianeta.
Anche noi in Rebubblica dobbiamo fare la nostra parte, cercando di sfruttare le energie rinnovabili, favorendo l’utilizzo di energia solare, evitando inutili sprechi alimentari e cercando di ridurre i rifiuti provenienti dagli imballaggi (packaging) dei prodotti, che generalmente sono prodotti in PLASTICA o CARTA, spesso ambedue i materiali confezionati uno nell’altro.
Oggi giorno siamo abituati ad acquistare prodotti “super confezionati” per voler del marketing, prodotti che grazie alle loro confezioni lucide dai colori sgargianti ci inducono all’acquisto, prodotti che spesso non necessitano di tutto quel packaging se non per un voler puramente commerciale.
Per produrre la plastica si utilizzano idrocarburi, più volgarmente petrolio e/o gas naturali, così come per trasportare il prodotto al punto vendita, trasferirlo dal cassonetto di raccolta pubblica all’impianto di riduzione volumetrica e successivamente all’impianto di trattamento finale (che consumerà energia per trasformarlo); a fine ciclo abbiamo consumato moltissimo combustibile solamente per aver trattato materiale plastico di contenitori monouso.
Sorge spontanea la necessità di ridurre notevolmente la produzione di imballaggi di scarto, che si traduce in termini ambientali, nel fare acquisti consapevoli per poter salvaguardare la natura, privilegiando contenitori che vengono utilizzati più volte a dispetto di quelli monouso. Tra i più comuni contenitori monouso troviamo Bottiglie, Bicchieri, Borse spesa (le tre B dello spreco della plastica).
Il vetro rimane sempre la miglior alternativa all’utilizzo della plastica perché per contenere alimenti non rilascia sostanze cancerogene, come diversamente avviene a lungo andare con molte tipologie di recipienti in plastica; in commercio si iniziano a trovare però anche contenitori plastici per alimenti studiati per un utilizzo a lungo termine, quest’ultimi in base a test effettuati sulla cessione in acqua di sostanze pericolose per l’uomo (effettuati da istituti accreditati) non cedono agli alimenti agenti contaminanti.
E’ necessario al fine di preservare l’ecosistema, utilizzare meno imballaggi e portare gradatamente il sistema a produrne di meno, riducendo il volume delle plastiche da imballaggio da gestire, in primis per l’ambiente ma anche per un discorso economico considerando che il valore delle materie plastiche e cartacee si è ridotta notevolmente. Come abbiamo ampiamente documentato in un nostro articolo https://www.iamrsm.com/news/crisi-rifiuti-non-solo-in-repubblica-e-un-problema-globale/ , la Cina dal 1 gennaio 2018 ha irrigidito notevolmente i limiti per l’importazione di materiale riciclabile (inclusi carta e plastica), fissando a 0,5% il limite di impurità. A inizio anno il Ministero dell’Ecologia e dell’Ambiente cinese ha annunciato che dal 31 dicembre 2018 sono state imposte rigide limitazioni di altre 16 tipologie di materiali, tra cui i rifiuti automobilistici compressi e le imbarcazioni in demolizione; ai quali si aggiungeranno altre 16 tipologie dal 31 dicembre 2019, come i rottami ferrosi.
Questo ha reso l’export verso il gigante asiatico pressoché impossibile, generando inoltre un drastico calo del valore degli imballaggi e dei materiali recuperabili. Riducendo i volumi degli imballaggi prodotti dai cittadini si ridurrebbero anche i volumi della raccolta pubblica di rifiuti urbani (imballaggi) con la conseguenza diretta di un risparmio di denaro pubblico per la gestione dei rifiuti.
Ricordiamo inoltre che non tutte le plastiche sono riciclabili, ma solo le termoplastiche (PET, PVC, PE, PS i soli che si gettano nella raccolta differenziata) mentre le plastiche termo indurenti (Resine Epossidiche e Policarbonati) non possono essere riciclati in quanto hanno la caratteristica di carbonizzare anzichè sciogliersi durante i processi di riciclaggio del materiale, quest’ultimi finiscono generalmente per essere smaltiti tramite processi di termo distruzione a recupero energetico.
Oggi in commercio si trovano anche plastiche BIO, prodotte da materie prime organiche come amido di mais e grano, questo tipo di plastiche codificate con la sigla PLA “plant” vengono create utilizzando meno della metà dell’energia che servirebbe per la creazione del medesimo prodotto in plastica comune (PET, PP, PE). Le plastiche BIO sono compostabili, possono essere gettate assieme al materiale organico per creare compost o nella comune pattumiera, le quali una volta conferite in discarica si decompongono rapidamente (circa 4/5 mesi per una bottiglia per acqua a differenza della comune plastica 1000 anni). Le plastiche BIO vanno benissimo anche per il confezionamento di alimenti perchè oltre a ridurre l’impatto ambientale, non cedono agli alimenti sapori sgradevoli e composti chimici pericolosi.
Senza l’impegno di tutti per invertire il trand di sfruttamento delle risorse e relativa produzione di rifiuti, non riusciremo a preservare l’ambiente e la natura.